La “cona” della Madonna di Sovereto.

La “cona” della Madonna di Sovereto.

Note a margine di una mostra

 Francesco Di Palo

Lo studio degli argenti liturgici, per la mostra in corso a Conversano Potere e Liturgia. Argenti dell’Età Barocca in Terra di Bari (Pinacoteca “Paolo Finoglio” – Castello Aragonese, dal 6 aprile al 30 giugno 2014), ha consentito l’approfondimento critico di alcuni aspetti della storia e dell’arte di Terlizzi, soprattutto del patrimonio di argenti custodito nelle sue chiese. Opere assai utili a delineare le vicende, non solo strettamente religiose, della vivace cittadina, che mostrò per tutta l’età moderna un protagonismo difficilmente spiegabile se non posto in relazione con la mobilità sociale ed economica. Tra gli argenti studiati la “cona”, o edicola, che racchiude e preserva quale preziosa reliquia, la venerata immagine della Patrona di Terlizzi, la Madonna di Sovereto.

La ripresa settecentesca della devozione all’immagine della Madonna e la necessità di estrinsecarla in forme più solenni, ispirò la realizzazione dell’edicola d’argento, o “macchina” processionale, in sostituzione di quella più antica, di legno dorato, in cui inserire la piccola tavola dipinta. Lacona” fu realizzata nel 1716 per voto popolare; nell’occasione la già piccola tavola della Madonna con Bambino, un’Hodeghitria del XIII secolo, fu ulteriormente ridimensionata (cm. 45×36,5) per consentirne l’alloggio, evidentemente a causa dell’imprecisione nella rilevazione delle misure.

La base imita una leggera altura e allude al luogo di “invenzione”, cioè scoperta, dell’icona che la leggenda colloca nell’XI secolo e in località Sovero. Tale circostanza è sottolineata dalla scultura del pastore inginocchiato, vestito di pelli, e dalla pecora che fu il tramite con il divino. Alla stessa leggenda, ma con più diretto riferimento al patronato sulla città, rinviano le figurine di tori.

L’alzata è composta da numerose lamine d’argento montate sul supporto ligneo la cui parte posteriore è occultata, nel corso delle esposizioni pubbliche e delle processioni, dal sontuoso manto di seta azzurra. Sulla fascia sono raffigurati due pastori, il più giovane indica la pecora con la zampa ben in vista conficcata nel pertugio. La parte centrale, sorretta dal cherubino, racchiude la piccola teca in cui è collocata l’icona mariana. Quest’ultima risalta dal contesto grazie ad una cornice a T, resa più preziosa dagli inserti di lapislazzulo. Tutt’intorno si dispiega la decorazione con simboli eucaristici (grappoli d’uva e spighe). In asse, entro la lunetta, è collocata la microscultura a tuttotondo raffigurante lo Spirito Santo. Poco più in alto quella di Dio Padre, resa con il simbolo dell’occhio entro il triangolo equilatero: Eterno Padre, Spirito Santo e Figlio (il Bambino sul braccio della Madonna) compongono visivamente il mistero della Trinità. Sulla trabeazione mistilinea, infine, si imposta il baldacchino a corona, mentre sulle volute esterne alla teca sono collocate due belle sculture di angioletti in atto di reggere cornucopie con fiori in lamina d’argento.

La base presenta un assemblaggio alquanto eterogeneo e posticcio: nel tempo, infatti, l’edicola si è arricchita di tutta una serie di piccoli oggetti votivi di dimensioni, cronologia, qualità differenti e non coerenti con l’architettura e la qualità dell’insieme.

Sia la cona che la base presentano numerosi guasti, ammaccature e lacerazioni nel tempo risarcite con saldature grossolane; guasti per la maggior parte causati soprattutto per i frequenti spostamenti della cona che, in forza della complessa ritualità festiva, viene condotta in processione, nel corso dell’anno, ben cinque volte.

È stato possibile risalire all’autore della cona grazie alla presenza del punzone con le iniziali «•A•T•» di Antonio Torrone, argentiere attivo a Napoli tra la fine del ‘600 e i primi decenni del secolo successivo.

A circoscrivere con precisione la datazione della “cascia”, è presente anche il bollo camerale: consente di assegnare con precisione il manufatto al 1716, datazione confermata anche dal bollo di Nicola d’Ajello che fu console dell’arte nel 1716.

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