Accadde Oggi, 11 Maggio 1845

(LETTERA DI GIUSEPPE DE NAPOLI AL FIGLIO MICHELE, RESIDENTE A NAPOLI. TERLIZZI, I2 MAGGIO 1845)
Terlizzi, li 12 maggio 1845

Caro figlio,
Il tragico accaduto di ieri mi forza a farvene la narrazione onde conoscendolo dettato dalla sincerità non faccia starvi in pensiero per coloro che vi appartengono, poiché le nuove possano giungere costà, e come sempre succede, alterate nella massima parte. Voi sapete, che dopo gli otto giorni, che si sollennizza qua la festa della SSa Vergine di Sovereto, la miracolosa immagine si ripone nell’altra cassa, e si situa nella sua Cappella nella interina Cattedrale: Vi era stato qualche bisbiglio perché il Capitolo secondo il solito avea fatto la consegna ai suoi rappresentanti in Sovereto, quando il Sindaco credeva doverla consegnare a nome del Comune ad un Decurione, cosa non mai praticata. Terminata dunque ieri al giorno la processione, il popolaccio cominciò a bisbigliare nella Chiesa. Io ero in casa al mio solito, e con meraviglia non vedevo ritornare le Serve che erano andate a portare i torchi accesi alla processione che si fa intorno l’atrio della chiesa, quando arriva Petruccio del fu Vincenzo nostro tutto smarrito, e dice che il popolaccio poco rispettando il Vescovo che era in Chiesa erasi sollevato, ed avea tirato delle pietre nella Chiesa istessa, pretendendo strappare l’immagine dalle mani del Capitolo. Allora il mio primo pensiero fu al Vescovo ed all’Arcidiacono, in fretta mi vestii, chiamato dal dovere della mia carica di Conciliatore, ed anche di Cittadino, onde vedere di apporvi riparo, credendo, che non fossesi ancora giunto a degli eccessi. Nel borgo rinvenni a crocchio di dieci, di venti, di cinquanta persone il popolo che io colle persuasive induceva a ritirarsi, e mi pareva di essere ascoltato, ma giunto al portone di Scalera, vidi impossibile andare più oltre, perché la strada era piena a zeppo di uno sfrenato popolaccio; chi fuggiva, chi correva, chi chiudevasi nelle case, io fui preso da molti, che mi insinuavano a ritirarmi e non mettere in pericolo la vita, ma il mio pensiero non era tranquillo, ed a misura, che scorgevo il pericolo, più ero desideroso di apportarvi riparo; quindi torno indietro, e cadendomi nel pensiero che Monsignore si fosse rifuggito nella casa dell’Arcidiacono, presi la via della Rosa, dove il popolo di donne ed uomini era immenso, comincio a persuadere, gridare, ordinare che si ritirassero, la mia voce viene ascoltata, la folla si sgombra, giungo alla casa di Giacò ove la moltitudine era immensa, perché vicina alla Chiesa, la fo in parte ritirare salgo, fo aprire le porte, e non vi trovo, che le donne desolate e piangenti perché avevano ricevuto nuova che l’Arcidiacono era stato ucciso, consolo quelli sventurati, e mi avvicino verso la Chiesa, non credendo ancora che erasi giunto a tale estremo, arrivo a stenti al largo, quando mi veggo preso in mezzo da varii Artiggiani, forzandomi a ritirarmi, onde non avessi veduto lo spettacolo, poicche realmente avevano ucciso l’Arcidiacono ed il fratello Cantore, trascinati tutti pesti in mezzo della strada: domandai del Vescovo, e mi dissero, che fuggendo erasi messo in salvo; vedendo allora inutile la mia opera, mi ritirai a casa, ove era Angiolina ammalata, e mi chiusi, come fecero tutti gli altri. Il duro popolaccio tumultuante sino a sera prese l’immagine e la portò all’Oratorio della Congregazione, e lasciò i cadaveri degli infelici fratelli, che appena si ravvisano esposti alla rabbia ed al livore. Dio mio a quali eccessi si sono trasportati! Ora si stà aspettando, che la giustizia faccia le sue osservazioni. Figlio mio questo popolo ha dovuto essere mosso, e si è mosso sfrenatamente e senza verun ritegno: molti canonici e partecipanti sono feriti e gravemente, e molti anche del popolo che si ferivano scambievolmente. Questa mattina è giunta una forza di Gendarmeria o di Urbani di paesi limitrofi e comincia a prendere conoscenza del fatto criminoso, si aspetta altra forza, tuttoc-chè il tumulto sia cessato e la quiete sia ritornata; tutti credono che vi sarà un esempio assai meritato, e preghiamo che Iddio liberi gli innocenti. È arrivato anche un Giudice della S.C. Criminale ff. di Procuratore Generale, il Commissario di Polizia e domani verrà l’Intendente. Conservatevi intanto in salute, mentre porgendovi gli ossequi del Sig. Primicerio che trovosi assente dal tumulto perché a letto colla podagra, costà dandovi la S.B.
Il vostro aff.mo Padre Giuseppe

Fonte: Conversazioni Diurne sotto il cielo di Sovereto (di Don Michele Cipriani)

Promuovi anche la nostra pagina facebook con un “mi piace”.